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venerdì 24 agosto 2012

Esclusiva - Calcioscommesse, la 'guida al processo' di Marica Longini




 



ESCLUSIVA FIGC CALCIOSCOMMESSE LONGINI - Il procedimento sportivo, messo in atto dagli organi giudiziari della FIGC per valutare l'operato di tutte le parti tirate in causa nella vicenda calcioscommesse, è giunto al termine.

In molti di voi ci hanno chiesto l'esatto funzionamento di tale processo per meglio comprendere la dinamica di talune scelte operate dai soggetti coinvolti.

Per rispondere alle domande più frequenti, la redazione di Calcio News 24 ha deciso di rivolgersi ad un esperto del settore: Marica Longini, nota agente FIFA ma, soprattutto, avvocato e, nello specifico, grande conoscitrice di diritto sportivo.

Allora, ciao Marica. Vediamo un po' quali sono le domande più comuni che, l'appassionato medio di calcio, che chiaramente non è a conoscenza di certe dinamiche 'tecniche', si pone.

Innanzitutto, si sente spesso parlare di 'deferimento': di cosa si tratta? Non è l'equivalente di una sentenza, giusto? Di conseguenza, non lascia strascichi, non 'macchia' la fedina di un soggetto innocente?

'Deferire' un soggetto  vuol dire rimettere il medesimo all’altrui giudizio, ossia citarlo in giudizio al fine di sottoporlo a procedimento. Deferimento e sentenza sono, pertanto, due concetti totalmente differenti: il deferimento implica un rinvio a giudizio innanzi alla Commissione Disciplinare - nel caso specifico del diritto sportivo - organo competente a decidere, vale a dire ad emettere una sentenza. Ques’ultima è un provvedimento, un dispositivo con il quale il Giudicante si esprime in ordine ad una determinata vicenda giuridica. Il deferimento, viceversa, è uno step precedente alla sentenza e non può di per sé, da solo, 'macchiare la fedina di un soggetto', volendo usare le tue parole.

In molti hanno scelto di patteggiare. Il patteggiamento, nello specifico, cos'è? Per cosa si differenzia rispetto un rito di giudizio normale?

Il patteggiamento è l’applicazione della pena su richiesta delle parti, ossia è la richiesta che imputato (o indagato) e P.M. (Pubblico Ministero) rivolgono al Giudice di applicazione nella specie e nella misura indicata di una sanzione o di una pena pecuniaria diminuita fino ad un terzo ovvero di una pena detentiva che, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo, non superi i 5 anni (di reclusione o arresto), sola o congiunta a pena pecuniaria, salvo che a formulare le richieste sia un imputato che abbia riportato più di una precedente condanna (recidiva reiterata), in tal caso l’imputato incontra il limite di 2 anni di pena detentiva 'patteggiabile'.

Chi propone il patteggiamento? E chi giudica, a quali parametri si attiene per ritenerlo più o meno congruo? Esiste una certa autonomia di giudizio in questo senso?

L’art.23 CGS ha previsto anche nell’ambito del diritto sportivo, appunto, la possibilità per le parti di accordarsi con la Procura Federale prima del termine della fase dibattimentale di primo grado per chiedere l’applicazione di una sanzione ridotta. L’organo giudicante, valutata la correttezza della qualificazione giuridica e la congruità della sanzione, ordina l’applicazione delle sanzioni con provvedimento non impugnabile che pone fine al procedimento nei confronti dell’istante. Dall’ambito di applicazione del patteggiamento sono esclusi i casi di illecito sportivo aggravati dall’effettiva alterazione dello svolgimento o del risultato della gara ovvero del conseguimento del vantaggio in classifica ovvero della pluralità di illeciti. Parimenti non possono beneficiare del rito alternativo i recidivi, la cui qualità soggettiva va verificata secondo la normativa di cui all’art. 2 del codice medesimo.

Nel silenzio della normativa, potrebbero sorgere dubbi in ordine ai limiti entro i quali si possono operare le riduzioni delle sanzioni proposte ovvero se, in ipotesi di sanzioni predeterminate nella misura minima, si deve ritenere sussistente un limite massimo di riduzione, in analogia all’ordinamento generale. Nei primi casi concreti in cui sono state applicate le sanzioni su richiesta delle parti non si è ritenuta la sussistenza di alcun limite predeterminato, salvo, ovviamente, quello della congruità.

La sentenza di patteggiamento non ha le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna in quanto è deficitaria di quella piena valutazione dei fatti e delle prove, premessa necessaria ai fini dell’applicazione della pena nel giudizio ordinario. Il Giudice decide sulla base degli atti senza compiere un’approfondita indagine in ordine all’effettiva responsabilità dell’imputato.  Il medesimo si limita, difatti, a vagliare che sia corretto il “nomen iuris”, vale a dire la qualificazione giuridica del fatto contestato, l’applicazione e il bilanciamento delle circostanze nonché la congruità della pena (motivo per il quale –la mancanza di congruità della pena concordata tra i legali di Conte e il procuratore Palazzi- è stato respinto dall’Organo Giudicante il patteggiamento che prevedeva una richiesta di applicazione della pena di tre mesi di squalifica per il mister juventino oltre al pagamento di 200.000 euro di ammenda). Non vi è una norma in tal senso, ossia una norma che statuisca appunto quando una pena concordata tra le parti debba ritenersi congrua, senz’altro occorre fare riferimento alla qualificazione giuridica del fatto de quo, nonché alla sussistenza di eventuali circostanze aggravanti e/o attenuanti.


Spiegato in maniera estremamente semplice: che convenienza c'è nel patteggiare? Si può parlare di una ammissione di colpevolezza in termini giuridici? Anche in caso di innocenza, dunque, esiste qualche cavillossità per cui potrebbe essere meglio scegliere il 'male minore'?
Ritornando sulla natura della sentenza di patteggiamento, occorre ulteriormente evidenziare che optare per il patteggiamento anziché per il rito ordinario vuol dire scegliere una strategia difensiva differente che comporta la rinuncia a far valere le proprie difese ma nello stesso tempo consente di godere di vari benefici (pena sospesa, non applicazione delle pene accessorie, ecc…), tra i quali anche quello di evitare i danni derivanti dalla lunghezza di un rito ordinario. Pertanto è una scelta che può essere in concreto conveniente sia per un soggetto innocente che per un soggetto colpevole che non ritenga di avere buone probabilità di dimostrare la propria innocenza sulla base degli atti e di eventuali elementi probatori a suo favore, ovvero preferisca non essere coinvolto in lunghe vicende giudiziarie dall’esito incerto.

Il patteggiamento non è ammissione di colpevolezza, difatti non è una sentenza di condanna ma è solo ad essa equiparata per determinati scopi. La radicale differenza consiste in un elemento in particolare: nel patteggiamento viene applicata la pena così come concordata tra le parti e dal Giudice ritenuta congrua rispetto alla qualificazione giuridica del fatto ed alle circostanze, nella seconda la pena è sempre statuita dal Giudice sulla base dell’effettivo accertamento e della conseguente dichiarazione di colpevolezza dell’imputato. Non possedere allo stato degli atti elementi utili al fine di dimostrare l’insussistenza del reato contestato o comunque la propria innocenza non può considerarsi affermazione equivalente ad un riconoscimento della propria colpevolezza.

Questo processo, è solo il primo grado di una lunga trafila, giusto? Per chi volesse impugnare le sentenze, qual è il passo successivo? Esiste la possibilità di ricorrere alla giustizia ordinaria (ovvero extra-sportiva)?

Il secondo step è quello di proporre appello alla Corte di Giustizia Federale, passo che è già stato fatto nel caso specifico della vicenda del calcioscommesse, e che, tra le altre decisioni, ha confermato la squalifica di 10 mesi per il mister salentino, come è ben noto, nonché l’assoluzione per i giocatori juventini Bonucci e Pepe, decidendo vicevers, diversamente da quanto si era statuito in primo grado, per l’assoluzione a favore del Grosseto e del suo presidente Camilli.
L’ulteriore passo da compiere ora è quello di rivolgersi al TNAS del CONI, ultimo grado di giudizio nella giustizia sportiva. Vedremo cosa succederà.

Viceversa la possibilità di ricorrere alla giustizia ordinaria è disciplinata dal combinato disposto degli articoli 2 e 3 D.L. 220 del 2003, convertito con legge 17/10/2003 n.280.
L’art.2 comma 2 dispone testualmente: “è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a)    L’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari , organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b)    I comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e l’applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”.

Secondo l’articolo 3, tuttavia, una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano o delle Federazioni  Sportive  è disciplinata dal codice del processo amministrativo.

Esauriti i gradi della giustizia sportiva, dunque, è possibile ricorrere al Tar del Lazio con riferimento a tutte le questioni indicate all’art. 2 D.L. 220/2003 (osservanza e qualificazione delle norme regolamentari ed organizzative dell’ordinamento sportivo nazionale e procedure disciplinari e d’irrogazione di sanzioni). Il Tar del Lazio ha giurisdizione esclusiva ed è espressamente autorizzato ad emettere misure cautelari al fine di salvaguardare l’interesse dedotto in giudizio. Avverso il provvedimento del Tar del Lazio si può proporre ricorso al Consiglio di Stato.


Bene, ti ringraziamo come sempre Marica per la tua disponibilità. Speriamo di aver chiarito i dubbi di parecchia della gente che ci segue. Alla prossima!

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